"Gli spiriti nel vento" racconto inedito presentato da Ishmael Beah al Festival delle Letterature Basilica di Massenzio 2007
Ishmael Beah autore di "Memorie di un soldato bambino" edito da Neri Pozza, il 22 maggio 2007 ha presentato al Festival delle Letterature presso la Basilica di Massenzio, il suo racconto inedito "Gli spiriti nel vento".
Io ho avuto la fortuna di esserci, ed è stato emozionante!
Ve lo propongo di seguito.
"Nonna
Musu entrò nella stanza di Kelfala, gli occhi sciupati dalle lacrime che lente
le rigavano le guance. Osservò il bambino che dormiva, il corpo snello
rannicchiato come in un grembo. Aveva appena compiuto sette anni ed era venuto
a passare l’estate dalla nonna. Sfiorò con le dita ruvide e calde la fronte di
Kelfala e il bambino si svegliò, il volto innocente ancora posseduto dal sonno
e dai residui dell’aria notturna che ne appesantivano il sorriso instancabile.
Lo scosse con delicatezza finché lui non si svegliò e si sedette sul letto, le
gambe incrociate al petto e lo sguardo rivolto alla nonna. «Mi hanno chiamata
tutta la notte nel sonno e li sento anche adesso. Dobbiamo raggiungerli oggi.
Ti aspettano, perciò dobbiamo andare subito». Nonna Musu porse a Kelfala i
vestiti che stavano sulla panca di legno vicino al letto. Lui li indossò e
seguì la donna all’esterno. Il manto scuro della notte era ancora steso nel
cielo. La nonna iniziò a camminare e Kelfala la seguì.
Il sentiero stretto e ventoso entrava nel cuore della foresta, dove la notte
era ancora più densa, e Kelfala fu costretto a restare vicino alla nonna per
non smarrire la strada che, lo sapeva, portava alla fattoria. Non capiva perché
ci dovessero andare così presto. Spesso, mentre andavano alla fattoria, la
nonna gli raccontava le sue storie, braccia incrociate dietro la schiena, e si
voltava a chiedere: «Stai ascoltando con il cuore? Non basta che la storia
raggiunga le tue orecchie, devi conservarla nel cuore, perché è là che il
potere della memoria è più efficace». A volte non capiva certe frasi della
nonna, ma ne coglieva nella voce l’urgenza di catturare la sua attenzione.
Stavolta lei non aveva aperto bocca e Kelfala sapeva di non poter chiedere
perché stessero andando alla fattoria a quell’ora.
Quando raggiunsero il fiume si sciacquarono il viso e si pulirono la bocca con
l’alburno che nonna Musu teneva nascosto in una piega della veste. La notte si
perdeva in lontananza, il cielo si risvegliava e mostrava un po’ alla volta il
proprio corpo azzurro. Quando la nonna e Kelfala si furono lavati la notte
dalla faccia si tolsero le infradito e se le misero in testa, la nonna arrotolò
la veste fino alle ginocchia, Kelfala fece lo stesso con i pantaloni, e i due
attraversarono il fiume basso che scorreva di fronte alla fattoria, un semplice
campo pieno di buche in cui giacevano i gambi di cassava che attendevano di
essere interrati. Kelfala seguì la nonna, che camminava lenta e canticchiava a
mezza voce assieme agli uccelli del mattino, fino a che non si fermò.
«Aspettiamo qui», disse lei.
Si sedettero per terra, appoggiati a una palma caduta sul margine di un campo
di cassava. La vita usciva in nuvole bianche dalla bocca e dal naso e si univa
alla rugiada del mattino. Gli occhi di nonna Musu si illuminavano mano a mano
che il sole abbandonava il proprio nascondiglio nel cielo e ricacciava la
nebbia tra le foglie della vicina foresta. Kelfala osservò l’espressione
tranquilla e assorta della nonna che mormorava qualcosa tra sé: parole che
avevano il suono del vento quando fruscia tra le noci di cocco, parole che
Kelfala sapeva di dover ancora imparare.
Le dita della nonna tremavano, il mormorio diventò un brusio continuo e poi un
sussurro. Aprì gli occhi e disse: «Dobbiamo restare qui e aspettare che
arrivino. Verranno con il vento». Si voltò verso Kelfala, iniziò a sfregare le
sue vecchie dita brillanti e posò le mani sulla sabbia rossa. Chinò il capo e
ascoltò la terra. Tempo prima la nonna aveva spiegato a Kelfala che «per
ascoltare la terra, gli spiriti e gli antenati, bisogna comunicare con le mani,
attraverso le vene le orecchie si mettono in ascolto e attraverso gli occhi e
il corpo il cuore si apre a ciò che è dimenticato, visibile e invisibile».
«Non è ancora ora, ma manca poco. Dall’altra parte il tempo scorre
diversamente, perciò occorre aspettare». La voce delicata di nonna Musu
interruppe i pensieri di Kelfala. Alzò le mani da terra e con un cenno delle
lunghe dita indicò a Kelfala di avvicinarsi. Lui si spolverò le mani e fece per
alzarsi, ma la nonna batté le mani per catturare la sua attenzione e gli
sussurrò di acquattarsi. «Chinati verso ciò che non puoi vedere, nipote mio»,
disse, mentre Kelfala si accucciava accanto a lei, spalla contro spalla, le
gambe raccolte contro il busto. Diede mezza noce di cola al bambino, e assieme,
Kelfala imitando i gesti della nonna, offrirono la noce al giorno e chiesero al
resto di se stessi di accogliere la giornata. Il vento iniziò a soffiare piano
e si fece più pesante, riempì l’aria di granelli di polvere. La sua forza
cresceva, portava con sé suoni di canti e tamburi diversi da quelli che Kelfala
era solito sentire nella piazza del villaggio. Avrebbe voluto chiedere qualcosa
alla nonna, ma lei restava immobile, a occhi chiusi, e mentre la musica del vento
proseguiva, sulle sue labbra spuntava un sorriso.
All’improvviso, quasi fosse ignara della presenza di Kelfala, la sua sagoma
minuta si alzò da terra, si strinse la veste, assorbita dal ritmo della musica
invisibile, e iniziò a danzare tra i gambi di cassava. Le mani e i piedi erano
così veloci da farla somigliare a un pipistrello pronto a volare via. Iniziò a
fare giravolte alzandosi e ricascando giù. Il vento cessò all’improvviso, e in
quel momento nonna Musu crollò a terra.
Kelfala tremava dalla testa ai piedi e nei dintorni sentiva la presenza di
qualcuno. Si sentiva circondato da un vento denso di spiriti che non riusciva a
vedere. La nonna non aveva mai danzato in quel modo. Era incredibile che alla
sua età fosse capace di muoversi così. Nonna Musu era ancora distesa, e quando
Kelfala fece per chinarsi verso di lei a controllare che le sue ossa fragili
fossero sopravvissute alla danza, sentì dei flauti. All’inizio il suono
sembrava venire da ogni parte, dalla terra, dal cielo, e il vento portava il
canto dei flauti da ogni direzione verso Kelfala. Ma all’improvviso, dal nulla,
spuntarono tre file diritte di uomini e ragazzi che suonavano il flauto,
stretti gli uni contro gli altri, i corpi decorati di argilla rossa, sembrava
quasi che li avesse sputati la foresta. Gli uomini e i ragazzi erano tutti più
vecchi di Kelfala e venivano da Kpetema, il suo villaggio. Li riconobbe, ma
nessuno gli prestò attenzione, nemmeno il suo amico Fatoma. Camminavano lenti
suonando i flauti di bambù, e si sedettero uno alla volta a sinistra della
palma caduta. Quando furono seduti smisero di suonare, ma il canto dei flauti
riecheggiò nella foresta finché una nuvola non coprì il volto del sole. Kelfala
riuscì a girarsi e avvicinarsi alla nonna. La veste era zuppa di sudore. Il
bambino le picchettò sulla testa e lei uscì di colpo dalla trance, il volto
ancora acceso dal sorriso. «Nipote mio, ora devi venire con me». Si alzò, lo
afferrò e gli chiese di sedersi di fronte agli uomini e ai ragazzi.
La nonna si sedette accanto a lui. Scoppiò in una serie di lamenti e rovesciò
la propria voce nelle vene di Kelfala, che non aveva mai sentito il proprio
sangue risvegliarsi come in quel momento, neanche nei giorni più caldi d’estate.
Nel suo lamento la nonna invocò i nomi di chi non c’era più e di chi attendeva
di unirsi alla comunità, poi chiese che con loro si radunassero anche le donne,
continuatrici del ciclo vitale della comunità. Poi ricominciò a cantare. Le
donne e le ragazze emersero dal fiume, i volti segnati di argilla bianca,
cantando melodie più dolci di quelle degli uccelli. Le più anziane agitavano
sonagli che sgocciolavano a terra, e alzavano le braccia per far cantare i
propri strumenti assieme al vento. Ondeggiavano aggraziate: ogni ragazza
trasportava una calabassa piena d’acqua e dietro di lei c’era una donna che
pescava l’acqua con un mestolo di legno e la versava sul percorso della
processione. Le donne circondarono gli uomini, Kelfala e nonna Musu, poi si
sedettero a destra della palma caduta.
Tutti restarono in silenzio per qualche istante, quindi la nonna parlò. «Ognuno
porta sul volto i ricordi dei luoghi in cui è stato, nei sogni, in questo e in
altri mondi, e di ciò che ha visto, persino le ombre di ciò che vedrà. Il volto
rivela anche ciò che resta delle esperienze passate, perché ogni smorfia, ogni
sorriso e ogni gioia lasciano traccia del proprio passaggio. Una traccia che si
sbiadisce, resta coperta sotto un altro strato di esperienza, ma non scompare
mai. A volte, se capita un’esperienza simile a quella che l’ha generata,
riaffiora». Respirò a fondo e proseguì.
«Mio nipote», disse, e indicò Kelfala, «sta per raggiungere l’età in cui l’innocenza
non guarisce più le tracce dei ricordi sul viso. Ho chiesto a tutti di
incontrarci qui, nel luogo in cui i nostri mondi si incrociano, per intrecciare
il nostro sangue e il nostro spirito, così da poter camminare assieme a lui
ovunque vada e assicurarci che il suo volto risplenda dei ricordi che celebrano
le gioie della vita. Vi prego di dedicargli un canto benaugurale», concluse la
nonna. Un anziano si alzò dalla sinistra della palma caduta e iniziò a cantare:
«Ognuno apprende a proprio modo il segreto del camminare. Chi impara a
camminare aprendo gli occhi e il cuore ha sempre un posto nuovo in cui andare.
Per lui non esistono confini. Ricordalo sempre. Ora devo chiederti di tornare
al villaggio senza che nessuno ti accompagni. Perché prima che noi camminiamo
al tuo fianco, devi imparare a camminare da solo. Quando saprai dove porta il
tuo cammino, noi saremo con te». Con un cenno l’anziano incoraggiò Kelfala a
muoversi. Il bambino si alzò e incrociò lo sguardo della nonna che annuiva.
Sollevò il piede destro e si allontanò lentamente.
I tamburi e i canti invisibili ricominciarono, seguiti dai sonagli, dai flauti
e dai canti, mentre Kelfala si dirigeva verso il fiume, dove lo attendevano a
sinistra una barca con un remo e a destra un bastone intagliato."
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